È il 28 settembre e tutto diventa improvvisamente reale. Saluto commossa la mia famiglia e con il cuore colmo della tipica malinconia che gli addii e i nuovi inizi portano con sé, mi avvio verso il gate di quel volo che bramavo da mesi ma che ora, improvvisamente, desta in me soltanto un’immensa paura. Salgo sull’aereo, lascio alle spalle la mia vecchia vita e proietto lo sguardo unicamente verso quello che verrà.
Accanto a me, per puro caso, è seduta una suora italiana, missionaria in Congo, che mi dice che sono coraggiosa e che sarò in grado di affrontare qualsiasi difficoltà questa esperienza mi porrà davanti. Per l’intera durata del viaggio, assorta da mille pensieri, fisso il finestrino dell’aereo che rivela un panorama perlopiù monocromatico – rosso – dato dal colore ferroso della terra malgascia. Più l’aereo si avvicina alla pista d’atterraggio e più i dettagli iniziano a svelarsi: case fatiscenti, vestiti stesi a terra che, dall’alto, appaiono come macchie colorate e macchine che percorrono lunghissime strade sterrate. L’aereo atterra e, nonostante le emozioni contrastanti, sento di essere nel posto giusto, al momento giusto: sono pronta.
La prima settimana ad Antananarivo per le pratiche dei visti passa velocemente e, in un batter d’occhio, mi ritrovo catapultata ad Ivato, la città che sarà la mia nuova casa per l’intera durata di questa esperienza qui in Madagascar.
Mi presento alle suore, conosco le bambine del Foyer e rido con loro; provo a parlare francese ma la barriera linguistica si frappone a noi come un’onda sugli scogli durante una tempesta, rendendo pressoché difficile la comunicazione. Loro imperterrite mi parlano in malgascio, strutturano discorsi e io non posso far altro che annuire; mi insegnano parole e mi rimproverano se sbaglio, sghignazzano per ogni pronuncia sbagliata e, nonostante tutto, troviamo il modo di capirci trovando nello sguardo e nei gesti i mezzi di comunicazione più potenti ed efficaci.
Le lezioni presso il Centro di Formazione scandiscono le mie mattinate e tra il “buongiorno” iniziale e l’”arrivederci” finale, si crea uno spazio temporale in cui io, che in quel momento rivesto il ruolo di insegnante, scopro quotidianamente qualcosa di nuovo.
Rivedo in ogni alunno una parte della me liceale, cerco di accogliere le loro preoccupazioni e di trovare un giusto equilibrio per rendere le lezioni simultaneamente un momento di crescita e di conoscenza reciproca.
Non è stato e, tuttora, non è facile: ci sono stati grandi momenti di difficoltà e di frustrazione, ma ogni sorriso, ogni mano tesa, ogni risata condivisa mi ha fatto sentire parte di qualcosa di più grande. Il tempo trascorso con loro non ha soltanto riempito le mie giornate, ma anche un pezzo del mio cuore.
Esco dalla struttura in cui passo la maggior parte delle giornate e ogni passo è scandito da uno sguardo estraneo, attento e scrupoloso, oltre che da un saluto accompagnato dalla parola che ogni bianco, in Madagascar, sentirà rivolgersi almeno una volta: “vazaha, vazaha, vazaha”. Inizialmente non comprendi, fatichi a dare un significato allo stupore nei loro occhi ma poi osservi l’interezza del puzzle e capisci: lì sei tu lo straniero, sei tu l’eccezione.
È un’esperienza che mi sta obbligando ad indossare panni diversi da quelli a cui sono sempre stata abituata: a volte tremendamente scomodi, altre, invece, nettamente più confortevoli. Sto imparando a guardare la realtà da una prospettiva diversa ma con la stessa curiosità di una bambina che sta osservando il mondo per la prima volta.
Sto riscoprendo me stessa attraverso gli altri, oltre che l’immenso valore che la condivisione e la relazione con l’altro rivestono nelle nostre vite. Il Madagascar mi sta curando l’anima insegnandomi, ogni giorno, a non smettere mai di sorridere.
Se potessi rispondere ai dubbi della me del passato che osservava con preoccupazione il panorama malgascio dal finestrino dell’aereo, direi che ne sta valendo la pena, che non c’è paura, difficoltà o nostalgia che possa oscurare la bellezza di tutto quello che sto vivendo.
Giulia, operatrice volontaria di Servizio Civile Universale in Madagascar