È arrivato il fatidico giorno, è arrivata la fine, quella data che in certi momenti ho così detestato e che in altri invece avrei voluto fosse più vicina. Sono stati 9 mesi intensi, ho pianto, ho riso, ho ballato, ho imparato una nuova lingua, ho conosciuto persone, ho abbracciato bambini, ho visto paesaggi magnifici, ho camminato a piedi scalzi, ho dormito in una tenda su una spiaggia di un’isola semi-sperduta, mi sono sentita persa e poi mi sono ritrovata. Mesi intensi che non mi sembra neanche vero di aver vissuto e che sono giunti al termine.
Il rientro mi spaventa perché so che per molto tempo le mie frasi tipo saranno “e ma in Madagascar non fanno così”, “però quando ero in Madagascar…” ecc, e le persone saranno interessate a me e al mio pezzo di vita per un attimo, 5 minuti al massimo poi torneranno alle loro vite frenetiche che sono andate avanti, che sono in continua evoluzione e con cui io ho perso un po’ il contatto.
Non posso parlare di mal d’Africa perché sono tornata da meno di una settimana, ma la nostalgia è tanta: mi manca sentire le urla dei bambini la mattina, mi manca parlare in francese, mi mancano i mofogasy a colazione, mi manca uscire a comprarmi l’acqua, mi manca prendere un bajaj o tuktuk, mi manca fare continuamente la conversione in euro, mi manca prendere il bateau per Nosy Be e mi mancano i venerdì sera alla Maison des enfants. Quello che non mi manca è dover contrattare per tutto, dover programmare l’uscita per portare il giusto numero di soldi contanti in modo tale che non fossero né troppi, né troppo pochi, il sentirsi continuamente osservata, i bonjour vazaha e il riso bollito ad ogni pasto.
Il Madagascar mi ha insegnato tante cose come ad esempio che la vita è piena di imprevisti e di problemi ma che la maggior parte di essi possono essere risolti, basta solo avere tempo e non correre, che posso fare a meno di tante cose ma non dell’acqua, che il colore della pelle è un marchio indelebile, che non serve parlare la stessa lingua per farsi capire dai bambini, che si può ballare per qualsiasi cosa, anche per un funerale, che si può viaggiare in 12 in una macchina da 5 posti, che per loro basta un video o un lavoretto con la carta per far diventare la lezione più interessante e coinvolgente, che non ho le mezze misure o sono severa, precisa e rigida o sono permissiva, dolce e giocherellona e soprattutto che le suore sono esseri umani con i loro difetti e le loro fragilità. Non so se riuscirò a mettere in pratica tutti questi insegnamenti ma mi piacerebbe riuscire a conservare un po’ di spirito di adattamento, un occhio attento e analitico su determinate situazioni, la capacità di prendersi del tempo e di non riempirlo solo per non pensare e soprattutto la positività e l’allegria che accomuna la maggior parte della popolazione malgascia.
Per questo e per un miliardo di altre cose che non riesco ad esprimere a parole dico a te, futuro volontario: Fallo! Buttati! Vivila! Non sarà sempre facile ma un’occasione del genere non devi fartela scappare!
Anna, operatrice volontaria di Servizio Civile Universale ad Ambanja – Madagascar