Probabilmente questo è un racconto che si discosta dall’immagine comune della Costa Rica, ma io, sincera come sempre, sento il dovere di riportare come realmente sono stati per me questi primi tre mesi di Servizio Civile Universale a Nicoya, un paese di circa 27.000 abitanti situato nella penisola del Guanacaste, in Costa Rica.
Sono Elena, ho 28 anni e ho deciso di lasciare un impiego pubblico indeterminato per partire con un progetto del Servizio Civile Universale. Una scelta importante, discutibile per molti, ma necessaria per quanto mi riguarda; avevo bisogno di riempirmi gli occhi di storie, culture ed esperienze nuove. Una boccata d’aria nuova.
L’impatto con la realtà di San Martin, il quartiere in cui viviamo, è stato fin da subito per me shockante. Ricordo ancora che la suora che ci venne a prendere a San Josè con l’auto ci raccontò che proprio quel giorno nel pieno centro di Nicoya ,verso ora di pranzo, ci fu un assalto a mano armata in un negozio. Ricordo che mi svegliai di soprassalto le prime notti perché sentivo colpi di sparo a volte in lontananza, a volte molto vicini. Notti insonni a piangere, è stato angosciante. Ricordo le notizie di omicidi di ragazzi del quartiere coinvolti nel narcotraffico. Ricordo che il governo costaricano voleva dichiarare lo stato di emergenza per l’insicurezza causata dall’onda di violenza generata per lo più dalle bande di narcotrafficanti. Mi chiedevo che cosa ci stessi facendo lì, catapultata in quella realtà che non sapevo fosse così difficile; se l’avessi saputo probabilmente non sarei nemmeno partita. Decisi però di darmi del tempo, non sono solita fare scelte di pancia, decisi di darmi almeno un mese per capire se la situazione sarebbe stata gestibile per me.
Ero terrorizzata ogni volta che uscivo dal cancello della casa delle suore, mi sentivo addosso occhiate invadenti, troppo invadenti e fischi. Per fortuna Valentina, la mia compagna di volontariato, in tutto ciò era molto tranquilla e l’associazione FVGS è stata molto comprensiva.
Iniziai a capire piano piano le dinamiche della realtà che ci circonda, una realtà molte volte aspra e crudele, fatta di donne sole con a carico spesso molti figli, famiglie divise, ragazzini che raccontano storie agghiaccianti con una tranquillità apparentemente disarmante, bimbi non voluti e abbandonati, mamme giovanissime, uomini che si dedicano ai vizi giorno e notte, educazione di scarsa qualità, poca motivazione dei bimbi a studiare, poca motivazione degli adulti a sognare e a lavorare, metodi educativi famigliari discutibili, poca responsabilità nelle azioni e nelle parole delle persone che vivono questa vita lenta, molto lenta.
San Martin odora di spazzatura bruciata, di pollo e platano fritto, è generosa, è verde, è umida, è calda, molto calda. A volte è una discarica a cielo aperto, i cani sembrano essere autonomi ed indipendenti nella loro organizzazione di branco, sono magri e spesso sono evidentemente malati. I motori delle auto a scoppio rimbombano nelle orecchie, i galli cantano a tutte le ore. Non è raro trovare per strada iguane, caprette, galline e scoiattoli. Si sentono sempre strani cinguettii di uccelli, urla, risate a squarciagola, musica latina. A volte si sentono boati provocati dall’esplosione della dinamite nelle cave di pietra.
San Martin è fede. Per molti la fede in Dio è l’unico momento di ritrovo con la comunità, è l’unico momento in cui si sentono sicuri, è l’unica ragione di vita.
La Costa Rica quindi si è rivelata, per quanto mi riguarda, più difficile del previsto, forse per l’idealizzazione da parte degli stranieri di questo paese senza esercito e con una natura imponente, verdissima e fauna che pullula in ogni angolo.
Se dopo tre mesi sono ancora qui è grazie alle piccole cose, è grazie a dei sorrisi sinceri, a dei pensieri inaspettati, è grazie ai bambini che continuano a venire al rinforzo scolastico e che, tra un gioco e l’altro, si portano a casa una piccola briciola ogni giorno. È grazie ai bambini che durante i laboratori di arte che ho proposto hanno partecipato attivamente; vedere la loro soddisfazione nell’aver creato qualcosa con le loro mani è sempre meraviglioso. È grazie anche alla natura meravigliosa che mi regala momenti di sollievo, di pace, di serenità e di connessione profonda con la Elena selvaggia.
La comunità di suore che ci ospita qui a Nicoya è molto piccola; al momento è composta da tre suore che ci hanno accolte come se facessimo parte della loro famiglia. Come attività avviata da loro a cui partecipiamo noi volontarie c’è solamente l’oratorio del sabato mentre per il resto dei giorni per il momento stiamo analizzando attraverso un questionario le necessità di un quartiere chiamato “San Juan” dove vivono per la maggior parte immigrati; speriamo dall’anno prossimo di poter organizzare qualche attività con loro.
Da una vita lenta e sudata vi saluto, al prossimo aggiornamento.
Elena, operatrice volontaria SCU a Nicoya, Costa Rica