“Aiutare gli indigeni a conoscere i loro diritti e in particolare il diritto alla terra” recita uno degli obiettivi del progetto previsto per il Costa Rica, quello che piú degli altri aveva richiamato la mia attenzione quando dovevo scegliere tra le varie sedi. Le comunità indigene mi hanno sempre affascinata ma non sapevo cosa aspettarmi realmente. Quindi confusa dai racconti di chi c’era già stato tanti anni fa, tra chi diceva che ci saremo lavate nel fiume con le sanguisughe e chi ha suggerito di portare l´aglio da mettere intorno al letto per mandare via gli scorpioni, ho improvvisato la mia valigia mettendo dentro tutto il necessario per stare dieci giorni fuori casa. Fuori casa e precisamente in mezzo alla foresta. Così partiamo e dopo quattro ore di viaggio finalmente li conosciamo. Si chiamano Bribri e appartengono alla comunità indigena più grande in Costa Rica. Esistono e resistono da secoli nella regione di Talamanca, un territorio ricco e prospero che proteggono con tutte le forze dai numerosi tentativi di invasione esterna, perché la terra per loro é vita, identitá, espressione di un Dio, Sibö, che gli chiede di preservare e amare madre natura come figli premurosi e attenti. Ed é ció che fanno vivendo con una semplicitá disarmante, lavorando nei campi di platano e cacao e tramandando oralmente conoscenze di generazione in generazione. Gli anziani sono la loro ricchezza piú grande e le donne mandano avanti il nome del proprio clan secondo le regole di un’organizzazione matriarcale che le difende e le valorizza. Non credono nella reincarnazione ma ciò che succederá dopo la morte dipenderà da come hanno condotto la loro vita, da quanto il bene e il male hanno influito nella scelta delle loro azioni. Per questo motivo decidono di rivolgere una parola gentile a chiunque, di non possedere altra forma di saluto se non ‘Is bé shkena’ ovvero un attento ‘come stai?’, di portare i bambini a scuola sotto la pioggia per un’ora o anche piú col sorriso che nasconde ogni fatica. Apprendiamo questo e tanto altro grazie all’ospitalitá di Heriberto, giovane volontario del Vides, che ha deciso dei aprirci le porte di casa e farci entrare nella quotidianitá della sua famiglia come se ne fossimo parte integrante, dandoci la possibilitá di conoscere a fondo usi, costumi, riflessioni e difficoltá di questo popolo dalle radici antichissime. Radici che richiamano in loro un forte senso di appartenza e un malcelato timore che questo possa finire. Per evitare ció, come apprendiamo durante la settimana trascorsa nella scuola di Meleruk, vengono impartite lezioni di lingua Bribri e viene dato tanto spazio alla conoscenza delle tradizioni che vanno avanti da secoli. Ma la lezione piú grande la danno loro, i bambini. Gli stessi che hanno partecipato al progetto sulla pace che abbiamo realizzato nella scuola sopracitata, e alla cui domanda su come rappresenterebbero la pace rispondono nel modo piú genuino possibile, con: “dar la comida al chancho; aprender a leer; jugar en la lluvia; ver las estrellas; cuidarnos entre nosotros; dar el agua a las flores” e tanto altro. Riferimenti alla natura, all’amore per la famiglia, all’importanza della condivisione di risorse e spazi. Richiami a sentimenti puri che ritroviamo in tutta la comunitá, che nonostante ció porta con sé delle sofferenze. Come quella che, a un’occhio esterno e occidentalizzato, nasce dalla mancanza di attivitá, di stimoli, di teatri, di biblioteche, di manifestazioni, di spazi di incontro. Non é semplice trovare un compromesso tra la nostra societá sovrastimolante e un ritorno alla terra in maniera cosí aderente. Ma senza dubbio, conoscerli e viverli ha lasciato tanti spunti di riflessione e nuove consapevolezze, tra cui quella relativa alla reale necessitá di badare agli sprechi e dare il giusto valore alle cose. Come fanno loro.
Sono l’esempio di vita che rispetta e abbraccia il pianeta…”perché loro non tolgono nulla alla terra, semplicemente ne fanno parte!”
Giovanna, operatrice volontaria di SCU in Costa Rica