Dalla terrazza di casa si riesce a vedere persino il mar dei Caraibi. Seduto quassù, con i fili del mango che ho appena mangiato ancora tra i denti, le zanzare che mi ronzano attorno alle caviglie, confortato da una brezza leggera che mi accarezza la schiena e con il sole tropicale negli occhi, cerco di osservare l’angolo di mondo che mi circonda. Un mondo diverso, distante e (prima) inimmaginabile, invisibile ad alcuni occhi, incomparabile a qualsiasi immagine ed aspettativa avessi prima di immergermici. Ma un mondo inevitabilmente ed estremamente umano. Incontenibilmente vivo.
L’insolito silenzio –più che silenzio, forse sarebbe meglio dire assenza di musica- che adesso regna nel quartiere, di norma animato da diverse casse che riproducono musica a tutto volume, rende finalmente possibile ascoltare la molteplicità di rumori che colorano l’aria di Barahona: un mango che cade sul tetto in lamiera della casa del vicino, i galli che cantano, motorini che sfrecciano (forse una gara?), bambini che corrono e giocano in strada. Ma questo punto di osservazione, che si potrebbe considerare forse privilegiato, offre solo uno spaccato ridottissimo della vita dominicana. La vera prospettiva privilegiata è quella che permette di entrare nella vita delle persone, dei bambini della scuola, essere ammesso nel loro mondo, nelle loro case, vedere e toccare con mano la cruda realtà in cui lottano e affrontano giorno per giorno le avversità, cercando di non farsi abbattere, poter ascoltare le loro storie, storie di migrazione, di stenti, di solitudine ed abbandono, di sofferenza genitoriale e filiale. Storie di vita. Di una vita sporca, disordinata, rumorosa, povera e bisognosa, spesso violenta, una vita in cui si guida su strade non sempre asfaltate, una vita in cui per fare la spesa al colmado –il minimarket locale- bisogna gridare per sovrastare il volume assordante della musica: ma una vita che proprio per questo è maestra, insegna la complessità delle cose, una vita estremamente tridimensionale e sfaccettata, in cui si impara che la realtà non è solo quanto di bello si può vedere ed immaginare da lontano, ma è altro, non una superficie grigia e monotona, ma complessa, multiforme, colorata.
E proprio in questa complessità si annida e percepisce la bellezza dei luoghi, delle persone, della vita, che rifugge dalle immagini plastiche e artificiose che attraversano l’oceano ed arrivano ai nostri schermi, ripulite e filtrate per essere appetibili. È una realtà viva, pulsante, instancabile ed inesauribile. Una realtà che richiede alle persone di essere forti, di crescere prima, di imparare a cavarsela da soli, ma che allo stesso tempo insegna gentilezza e generosità, insegna la benevolenza, il calore umano, il valore della condivisione che si riflette nei gesti più semplici e banali, nel regalarsi della frutta, nel preparare all’altro un thè per la cura omeopatica, nel mettersi a sua disposizione qualora questi ne abbia bisogno.
Il valore di ogni incontro, di ogni istante, lavorativo e non, di ogni gesto, ogni stretta di mano, sguardo, sorriso, di confronto con persone provenienti da un orizzonte diverso, ma comunque nostri fratelli, la nuova consapevolezza acquisita, le persone conosciute e le amicizie create: tutte queste scene sono la cornice dell’angolo di mondo che sto osservando e vivendo in questa incredibile esperienza in Repubblica Dominicana. La mia personale cartolina per la vita.
Gianantonio, operatore volontario di SCU in Rep. Dominicana