Spesso nel cercare di raccontare quello che stiamo vivendo e provando durante questa esperienza mi sembra di ricadere nel banale, nel semplicistico. Non è facile, me ne rendo conto. Trasmettere a parole una realtà quasi totalmente diversa ed estranea alla nostra quotidianità può spesso portarci a romanticizzare anche aspetti che diversamente non calcoleremmo. Mi piacerebbe essere onesta. E se ricado nello scontato, mi dispiace, io ci ho provato.
Il nostro apporto qui non è fondamentale, non siamo dei supereroi venuti a salvare qualcuno, soprattutto perché qui, nessuno ha bisogno di essere salvato.
Girando per la scuola, per le strade e i mercati, è lampante quanto, per quanto tu faccia il possibile per integrarti nella comunità locale, il tuo privilegio dato dal fatto di essere bianco, arriverà sempre prima di te, e verrai percepito e trattato diversamente per questo. Trattato meglio naturalmente. È un “peso” di cui probabilmente non ci libereremo mai, e che a volte può far sentire a disagio. Credo che levarsi la maschera sia la parte fondamentale di questa esperienza. Sapere che, nonostante i nostri sforzi, noi resteremo incubati nella nostra bolla privilegiata.
Detto questo, avvicinarsi e far parte, anche per un minimo, delle vite di queste persone è un grandissimo onore. Probabilmente sto ricadendo nel banale, ma ecco una mia giornata tipo, con le sue bellezze e difficoltà.
Nonostante ci si addormenti relativamente presto la sera, la sveglia alla mattina è sempre una bella botta. Mi alzo rapidamente perché già molto affamata, e mi dirigo, passando per i bambini già pronti per la scuola, verso la cucina. Di solito sono la prima. Mi godo un po’ il silenzio prima che arrivi a farmi compagnia Lorenzo, che come me, di prima mattina non è di troppe parole. Ci serve giusto quella mezzoretta per attivarci. E infine, con la sua estrema calma, quando ormai noi stiamo già lavando le nostre tazze, arriva addormentato anche Niccolò.
Non c’è fretta d’altronde qui, è quello che ci ripetiamo sempre. Eppure per me, che vengo da Milano, questa abitudine è davvero difficile da accettare. La mia costante frenesia e bisogno di avere sempre qualcosa da fare si sono spesso scontrati con i ritmi di qui. A volte mi sento inutile o assalita dalla costante sensazione di star “sprecando” tempo. Sono sempre stata abituata così, a riempire ogni attimo, a essere sempre produttiva. Questa esperienza per me è anche una boccata d’aria. Mi sta insegnando a fermarmi, a respirare, a capire che, non occupare tutto il tempo, non significhi sprecarlo, ma semplicemente utilizzarlo diversamente. Come tutte le nuove relazioni, ci vuole tempo per adattarsi e accettarlo.
Dicevo. Le mie attività riguardano prevalentemente l’insegnamento. A bambini e insegnanti. La possibilità di diventare un giorno insegnante l’ho sempre percepita come la mia ultima scelta, eppure ammetto che, non si sta rivelando così male. Con questo non voglio dire di aver cambiato completamente la mia opinione. Però ammetto che sto riscontrando certe soddisfazioni, oltre naturalmente a naturali difficoltà. Ci sono bambini con evidenti difficoltà cognitive che avrebbero bisogno di un aiuto e supporto ad hoc, ci sono classi molto agitate in cui è difficile tenere il controllo e farsi ascoltare, ci sono insegnanti che, credo per via della timidezza, rendono complicate le ore di conversazione. E a volte ti chiedi, ma io sono davvero d’aiuto? Sto realmente portando un minimo miglioramento?
Forse non riceverò mai una risposta, e ciononostante continuerò a farlo. Perché mi piace, perché dopotutto ci speri sempre.
Io insegno prevalentemente francese e inglese e affianco altre meravigliose professoresse nelle classi dei più piccoli. Ecco, per me i veri esempi sono proprio loro. Rimango sempre stupita a scuola da questi professori. Giovani donne e uomini, instancabili, che si ritrovano a svolgere ogni tipo di attività, con una pazienza e dedizione incredibili. Rispetto a quello che fanno loro, mi sento sempre inferiore.
Arriva la pausa del pranzo, cucinato dalla nostra fantastica cuciniera Ubi. Io adoro Ubi. È una tuttofare, e di ogni cosa io possa avere bisogno, lei arriva in soccorso. Non l’ho mai sentita lamentarsi una volta.
Finito il pranzo, caffè d’obbligo per me e Nicco e Lore che si bagna giusto la tazza, ma ci fa compagnia.
I pomeriggi sono sempre abbastanza diversi: affianco Lore nella lezione di inglese al Bureau, alla lezione di italiano con i preti o mi dirigo nella scuola di Tsiadana per insegnare o in un’altra scuola per fare inglese. Il non avere una routine fissa un po’ mi piace e un po’ mi spaventa, ma sto approfittando del tempo libero che mi ritrovo per iniziare attività alle quali non avrei mai pensato. Sto imparando, infatti, a fare il crochet. La Rebecca di qualche mese fa non se lo sarebbe mai aspettata.
Anche la relazione con me stessa sta subendo dei cambiamenti, a volte sono più clemente, altre volte più critica. Eppure, la gentilezza delle persone in cui mi imbatto ogni giorno non ti fa pesare nulla e mi ricorda sempre di quanto io sia fortunata.
Ricadrò nel banale ora, ma a prescindere dalla loro situazione o condizione, troverai sempre un sorriso in queste persone.
Per scacciare la stanchezza l’altro giorno, le giovani regardanti mi hanno chiesto di ballare. Il modo di affrontare le cose qui è proprio diverso.
Mi sono dilungata, ma vorrei solo dire come, forse il mio apporto qui sarà minimo o grandissimo, non lo so. Mi sento solo di ringraziare, perché sono grata per l’apporto che loro stanno dando a me. Nel creare nuove relazioni con la gente, con il mondo, con il tempo, con lo spazio attorno a me e con me stessa.
Continuerò questi mesi e quest’esperienza cercando di assorbire tutto quello che questa avventura può darmi e nel mio piccolo di trasmettere anche io qualcosa. Il bello è che ti rendi conto qui quanto queste persone abbiano più da dare che da ricevere e che quelli veramente bisognosi qui siamo proprio noi, i privilegiati.
Rebecca, operatrice volontaria di Servizio Civile Universale in Madagascar