Sono l’arancione, il rosso e il verde ad accoglierti a Manazary e gli occhi curiosi e sorpresi di tante persone e, soprattutto, di tanti bambini.
La strada per arrivare qui è rossa di argilla e di polvere, scavata da grandi buche.
È una terra di agricoltura e di allevamento: un altopiano nel cuore del Madagascar costellato da laghi e da alture che svettano sui campi.
Mentre scrivo sta iniziando la primavera: con lei sono arrivate le piogge che hanno iniziato a dissetare i campi e a riempire le risaie.
Lo scopo del progetto che ho scelto è quello di contribuire a donare un’educazione di qualità ai bambini e ai ragazzi malgasci lavorando direttamente nelle classi, formando gli insegnanti e con attività extrascolastiche donando quel poco che ho e quello che posso fare, senza troppe pretese.
Non sono da solo: nel mio stesso villaggio è con me anche Francesca, una giovane di Roma che ha scelto questo progetto.
La comunità che ci ospita è formidabile ed è formata da sei suore super accoglienti.
L’elettricità spesso salta, l’acqua al momento è disponibile solo fuori casa, internet è spesso quasi inutilizzabile, non c’è la mozzarella ma non ci manca nulla di ciò che conta davvero.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice sono in questo villaggio da quasi trent’anni e l’opera che negli anni qui hanno costruito è grande e ammirevole:
-scuole: dell’infanzia, primaria, secondaria, una scuola professionale e da poco si è aggiunto un corso di informatica in vista del lavoro per i ragazzi più grandi;
-formazione per i genitori;
-mensa scolastica;
-ambulatori medici costruiti grazie al supporto di alcuni medici italiani;
-oratorio;
-catechesi;
-fattoria con campi coltivati e animali;
-una nuovissima macchina per “pulire” il riso (qui è fondamentale dato che siamo circondati da risaie e l’alimento di base della dieta malgascia è il riso bianco).
Al di là del progetto nelle scuole qui le cose da fare non mancano e ci rimbocchiamo volentieri le maniche per le varie necessità della comunità: un po’ traslochiamo la casa (qui fervono i lavori di ristrutturazione e c’è un cantiere molto movimentato), un po’ siamo alla fattoria o alla macchina del riso, un po’ contabili per le fatture, un po’ teniamo lezioni di italiano, un po’ quello che serve. Non c’è tempo per annoiarsi, insomma.
Il bello di quest’esperienza è che oltre alle cose da fare qui abbiamo anche il giusto tempo per poter leggere, scrivere, disegnare, affinare l’arte di indugiare sulle cose e gustare l’abbondanza della natura e delle persone.
E qui ogni occasione è buona per fare festa.
Il bilancio di questi mesi è decisamente positivo.
Mi sto iniziando ad ambientare ma ovviamente ci vorrebbero altri sei mesi per immergermi un po’ di più nel luogo in cui mi trovo, lusso che purtroppo non è possibile avere nell’arco del nostro progetto.
Nel cuore regna una grande serenità di fondo e tanta libertà. Stanno nascendo nuovi desideri e si intravedono nuove possibilità.
Le emozioni di fondo sono legate alla percezione di stare vivendo in un luogo e in un tempo favorevoli: uno spazio per nuove esperienze e un tempo fecondo per cambiare.
“Eh, ma c’è bisogno anche in Italia!”. Dicevano.
Ma credo che abbiamo bisogno di trovare dei luoghi e delle persone che riempiono gli occhi e il cuore di speranza. E in questo momento la Provvidenza mi ha portato qui, dove imparo che, sotto sotto, siamo tutti simili, a prescindere dalla terra che abbiamo sotto i piedi o dal cielo sopra la testa.
Come diceva quel tale, non siamo fatti per un solo panorama ma dentro di noi esistono paesaggi meravigliosi ancora da esplorare, da riconoscere e da coltivare.
Vi saluto, come si usa qui, con “veloma” (si legge velùma), che letteralmente significa “vivi!/vivete!”.
Matteo, volontario del Servizio Civile Universale in Madagascar