Click-clack, apro il cancello che separa la casa delle suore dalla scuola, otto bambini si aggrappano alle mie gambe e con un sorriso grande mi dicono “bonjour maîtresse”; faccio dieci passi e altri bambini mi abbracciano e mi salutano; altri dieci e sono in classe. Sento i bambini ripetere all’infinito “maîtresse Giulia”, accolgo i loro abbracci e ricambio i sorrisi. Durante la merenda, il cosiddetto goûter, rimango affascinata dalla loro gentilezza e generosità: oltre a condividere il cibo fra loro, scelgono di donarne un po’ anche a me. Successivamente, sento provenire dalla finestra voci di bambini di altre classi che si fermano per pormi un saluto. Arriva il pomeriggio, entro in classe e si alza un coro di “good afternoon maîtresse” seguito da un abbraccio di gruppo talmente forte che ogni volta è un’impresa stare in equilibrio. Durante la lezione ricevo sorrisi e parole gentili. Esco dalla classe, ho quattro bambini per mano che mi accompagnano nel cortile della scuola. Faccio dieci passi e mi ritrovo altri bambini che mi abbracciano e dicono “au revoir maîtresse”, altri dieci e sono dentro alla casa delle suore.
Click-clack il cancello si chiude e ho il cuore pieno di gioia.
Questo è ciò che vivo quotidianamente ad Ambanja, una cittadina nel nord-ovest del Madagascar, dove sto svolgendo l’esperienza di servizio civile. Mi trovo in una comunità salesiana, in cui svolgo attività prettamente educative all’interno della scuola delle suore. In particolare, mi occupo di insegnare inglese, sport e abilità manuali ai bambini della scuola dell’infanzia e primaria.
Questa esperienza mi sta indubbiamente donando tanto ma mi sta mettendo anche a dura prova perché mi sto scontrando con mentalità e metodi educativi differenti, in cui si dà poco spazio alla valorizzazione delle emozioni e alle volte la violenza sembra essere l’unica soluzione nella gestione delle classi. Di fronte a ciò, mi sono chiesta quale contributo positivo posso offrire e come posso favorire un dialogo tra due culture così distanti.
Credo che la chiave sia mostrare che esiste un modo di relazionarsi diverso, basato sull’ascolto, il rispetto e la cura dell’Altro; allenarsi a riflettere sui propri stati d’animo, perché non sempre ça va bien merci ma si può provare rabbia, tristezza, paura e tanto altro. Si tratta di un processo lungo, che richiede impegno e confronto costante, e spero che nel tempo si possano vedere i frutti di ciò che è stato seminato.
Già adesso però posso dire che questa esperienza mi sta dando tanta soddisfazione e al contempo mi sta insegnando tanto.
In questi mesi sto avendo anche l’opportunità di scoprire il paesaggio circostante fatto di foreste, mare cristallino, strade fatiscenti, piantagioni di cacao e vaniglia, capanne e terra rossa; sto assaggiando frutta e verdura esotica deliziosa; sto vedendo animali curiosi come lemuri, gechi, camaleonti, zebù e uccelli colorati; sto interagendo con la cultura malgascia fatta di tanta calma, pazienza, ingegnosità di fronte ai problemi e tanti balli.
Infine, caro Madagascar, in questo primo periodo ho capito che sei un paese pieno di contraddizioni, di ingiustizie, ma anche di colori, sapori e di tanta bellezza. Sono felice di poterti scoprire poco alla volta, prendendo ed elaborando tutto ciò che hai da offrirmi.
Giulia, operatrice volontaria SCU in Madagascar