Apro la galleria delle foto e scorro scorro fino al 26 agosto, giorno prima della mia partenza per il Messico. Ho un’unica foto, io che piango. Mi ricordo benissimo come mi sentivo, divisa in due. Ero pronta e felicissima di partire, non vedevo l’ora di prendere quell’aereo, ma avevo anche tanta paura di non essere capace di gestire tutto quello che mi aspettava, di non integrarmi in un nuovo contesto e una nuova cultura.
Poi il giorno dopo arriva e prendo quell’aereo.
Dopo tante ore di viaggio finalmente arriviamo a Tuxtla (Chiapas), io e le mie colleghe, fuori dalle porte dell’Albergue infantil salesiano, struttura che sarebbe stata la nostra casa. Entriamo e subito veniamo catapultate in questa nuova vita. Le suore, che vivono lì, ci vengono incontro sorridenti ed entusiaste, ma io avevo un unico desiderio, volevo conoscere i bambini. Ne vedo qualcuno in lontananza un po’ curioso e un po’ diffidente che ci spiava e ci studiava. Non vedevo l’ora di imparare i loro nomi, di conoscere la loro storia, di farmi conoscere ed instaurare un rapporto loro.
Sicuramente all’inizio l’impatto non è stato semplice per me, la difficoltà della lingua mi frustrava molto, non riuscivo a comunicare e ad esprimere i miei pensieri come avrei voluto, avevo bisogno ancora di un po’ di tempo per prendere confidenza con lo spagnolo; il vivere in una comunità salesiana e adattarsi a tante piccole cose anche è stata dura, ma più passavano le settimane più ovviamente tutte queste paure e difficoltà non mi sembravano così enormi da non essere superate.
Nella struttura in cui viviamo e lavoriamo, accogliamo solo bimbi di sesso maschile che sono divisi in 3 gruppi, piccoli mediani e grandi. Io, in particolare, e in modo completamente naturale, mi sono avvicina al gruppo dei ragazzi più grandi, 10-11 anni. Ogni gruppo ha una sua “responsabile” che nel mio caso è una suora molto dolce con cui mi sono legata fin da subito. Ognuna di noi volontarie è stata quindi assegnata ad un gruppo e io, come anticipavo, mi sono avvicinata al mio un po’ per caso un po’ perché avevo voglia di mettermi in gioco con i preadolescenti. Ancora all’inizio non era chiaro il nostro compito lì, non capivamo bene che figura saremmo state per questi bambini né cosa avremmo fatto. La scuola nella struttura non c’è, la mattina loro andavano in una fuori dalla comunità e tornavano per le 13:00, quindi io non sapevo bene come e cosa fare con loro. Dopo settimane, necessarie al nostro adattamento in questa nuova realtà e al conoscimento di questi bambini, ho trovato il mio posto in questa comunità. La mattina alle 6:20 ho iniziato a svegliare i ragazzi del mio gruppo nel loro dormitorio, rimango con loro finché non finiscono di prepararsi per la colazione e poi per andare a scuola. Quando tornano poi nel pomeriggio li appoggio nelle ore di compiti e in tutte le attività che fanno, canto, ballo, educazione fisica.. e la sera poi, dopo aver visto la tv tutti insieme, li metto a dormire e sto con loro fino a che non si addormentano.
Questa è la mia routine qui e ne sono felicissima. In poco tempo sono diventata una figura di riferimento per loro e loro per me. Vivere 24h con questi bimbi mi sta dando modo di creare un rapporto profondissimo con loro, il mio istinto di protezione, le mie preoccupazioni per loro, la mancanza che sento quando non li vedo per alcuni giorni sono cose che non mi aspettavo di provare così intensamente.
Ovviamente le difficoltà ci sono e ci saranno sempre, la frustrazione di alcuni giorni, una giornata andata male, ma quando sono con i bimbi tutto si annulla.
I bimbi di qui sono bambini sicuramente impegnativi, hanno tutti una loro storia e un vissuto difficile, me ne rendo conto. Gestirli non è facile, gestire le loro emozioni e la loro rabbia che spesso si palesa non è facile. È veramente una sfida ogni giorno, sia con loro sia principalmente con me stessa. A volte vorrei urlare, piangere, mi sento inadatta, mi sento di sbagliare tutto. Ma poi vedo come i bambini e ragazzi mi salutano felici quando torno da una giornata fuori, quando mi corrono incontro e mi fanno mille domande, quando mi ringraziano per averli aiutati con i compiti, quando mi chiedono quanto rimarrò lì con loro e ogni volta che rispondo loro fino a giugno sorridono. Tutte le preoccupazioni svaniscono e penso che non esista una formula perfetta, in queste situazioni non può e non deve esserci.
Sono sicuramente una Francesca diversa rispetto a quella famosa foto di agosto, ma cambio ogni mese, ogni giorno. Non vedo l’ora di scoprire chi sarò tra un mese, cosa mi succederà, quante volte penserò di non farcela ma altrettante sentirò di essere nel posto giusto.
Lasciare l’albergue e i suoi bimbi non sarà facile, salutarli sarà lasciare una parte del mio cuore, ma un giorno una persona mi ha detto: “dentro di loro ci sarà sempre un pezzo di te e dentro di te ci sarà un pezzo di loro e per questo sarà come non salutarsi mai”
Ed è a questo che penso quando penso alla mia esperienza di Servizio civile, tu ti dai in modo completo, cerchi di insegnare tutto quello che puoi, ma la verità è che uno scambio continuo, questi bambini e ragazzi mi stanno insegnando l’empatia, la pazienza, l’accudire l’Altro e il prendersene cura, mi stanno insegnando, soprattutto, l’Amore sincero ed incondizionato e per questo sarò sempre grata a questa esperienza che porterò per tutta la vita dentro di me.
Francesca, operatrice di Servizio Civile Universale a Tuxtla (Messico)