Oggi, 9 giugno, mancano solo dieci giorni alla fine del servizio. Dopo nove mesi, mi viene richiesto di scrivere questo articolo. Nove mesi… quante cose da dire, vero? E in più, aggiungici il mio stato emozionale un po’ confuso. Risultato? Sono bloccata. Perciò ho deciso di cominciare a scrivere senza un’idea specifica, come un flusso di coscienza. Sono triste ma anche un po’ felice, sono curiosa ma anche un po’ preoccupata.
Sono felice quando penso che rivedrò la mia famiglia e i miei amici, ma sono triste a pensare che rivedere le persone che ho conosciuto qui sarà difficile (ma non impossibile). Sono un po’ triste di uscire da questa realtà calorosa, tanto ricca di passioni e libera dagli schemi. Sono felice quando penso di essere stata molto fortunata a viverla, perché so che porterò questi valori dentro di me per sempre. Sono felice quando vedo che sono stata capace di trasmettere un po’ di me ai giovani, di sentire che lascerò un pezzettino di cuore in questo posto, per quanto sia anche triste e doloroso. Sorrido quando penso alle canzoni inventate dai bambini giocando con il mio accento differente dal loro. Sono felice quando penso a un momento specifico della giornata: al mattino, alle 8:15 in punto, io seduta nel patio con gli altri educatori. Inizio a sentire il suono di passi rapidi e le voci urlanti e agitate di una mandria di bambini che compaiono da dietro l’angolo e corrono verso il patio per aspettare il momento del “Bom Dia”. È divertente pensare alle facce dei bambini: alcuni ancora dormienti e incapaci di aprire gli occhi, altri super eccitati e pronti a raccontarti cosa hanno fatto il giorno prima, altri ancora che arrivano e ti danno un abbraccio senza dire niente.
Sono curiosa di catapultarmi di nuovo nella vita di un anno fa. Come mi sentirò di fronte a familiari e amici dopo nove mesi di distanza? Come mi approccerò alle dinamiche che facevano parte della mia vita nove mesi fa? Perché, inevitabilmente, qualcosa sarà cambiato in me. Sono curiosa perché, ora come ora, non riesco a rendermene bene conto. Mi rendo solo conto del fatto che questa esperienza mi ha messo molte volte di fronte a sfide che forse nemmeno mi ero mai immaginata di dover affrontare. Cosa sento? Di averle affrontate. Le ho vinte? Non sempre. Come mi sento? Felice di averci provato. Perché se c’è una cosa che ho imparato in questi mesi è ascoltare, sentire e conoscere me stessa. Conoscere e rispettare i miei limiti, sviluppare e scoprire le mie potenzialità. Conoscermi e accettarmi, riuscire a interpretare le mie emozioni, tramutarle in sensazioni e agire seguendone il flusso. Ma soprattutto, ho imparato che non smettiamo mai di crescere, rinnovarci, perderci, ritrovarci. Oggi, confermo a me stessa che questa dinamicità è il motore della vita che voglio portare avanti e che mi fa stare bene. L’aver intrapreso questa esperienza, fuori da ogni schema della mia formazione professionale, ha svelato un pezzettino di me che non avevo ancora scoperto. Il servizio che ho prestato nel progetto sociale mi ha aiutato ad aprire quello che, nelle sessioni di formazione educativa del progetto, chiamano ‘patio’, inteso come spazio emotivo e sociale dentro di sé. Uno spazio che ti permette di aprire il cuore alle persone, di accoglierle, ascoltarle, aiutarle e viverle. Durante quest’anno, il mio patio è stato rinnovato, decorato e animato da una mandria di giovani che mi hanno insegnato e confermato l’importanza dell’empatia, della conversazione e dello scambio. Adesso, le pareti del mio patio sono decorate con cartelloni e disegni colorati; è uno spazio aperto che si affaccia su una piazzetta con campi da gioco, circondata da giardini dove vivono alberi in fiore, farfalle coloratissime e uccellini chiacchieroni. E se il patio fosse proprio il serbatoio, qual è il carburante che alimenta il motore? Quasi un anno fa, alla formazione SCU ci era stata trasmessa la consapevolezza che il carburante che ci stava spingendo a intraprendere questa esperienza era la volontà e la necessità di vivere un’evoluzione personale. Curioso come questo desiderio ‘egoistico’ mi abbia trasportato in una realtà dove l’obiettivo delle mie azioni non ero io, non erano le mie necessità o i miei desideri, ma la condivisione, il mettersi in gioco e sfidare le proprie incertezze. La bellezza di questa evoluzione, nata da questo desiderio di cambiamento, è il comprendere che la costruzione, la crescita e l’evoluzione non sono processi che si percorrono da soli, ma sono uno scambio continuo e dinamico con la realtà che ci circonda.
Sono felice quando penso al mio nuovo patio interiore, ai bambini e agli amici che mi hanno aiutato a rinnovarlo. A queste persone rivolgo un grazie enorme, immensamente grata per avermi aiutato a crescere, rinnovarmi, perdermi e ritrovarmi.
Al termine dei conti, il flusso di coscienza mi ha aiutato a mettere in prospettiva il mio stato emotivo… e sono felice.
Un caro saluto Guaratinguetá, a presto.
Francesca, operatrice volontaria di Servizio Civile Universale in Brasile