Si parte con l’idea di andare a vedere l’Africa che ti fanno vedere in Tv. Parti con l’esclamazione dei tuoi cari che ti dicono “stai attenta”. Nel pensiero generale, tutta la terra dovrebbe essere rossa, senza un albero verde, tutte le strade pericolose da percorrere e questi africani tristi e magri per la fame.
Ma l’Africa non è così, il Madagascar non è così.
Vieni accolto da migliaia di persone per strada, che ti guardano, ti osservano in ogni minimo movimento, perché anche se farai la spesa al mercato locale come tutti loro, rimarrai sempre uno straniero, anzi, un Vahaza strano che non va ai supermercati come tutti i bianchi. Da tutte le parti verrai accolto con riverenza, anche nel villaggio più disperso nel sud del Madagascar. Il bianco è rappresentazione di soldi e di persona importante e di grande conoscenza. Ma mi chiedo, perché tutto questo rispetto vista la loro storia con noi europei?
Si dice che si parla francese, ma se proprio devo essere sincera, lo sentirai parlare solo da persone benestanti e in alcuni uffici pubblici. Con gli altri comunichiamo con i nostri sguardi, con i gesti e con le risate. Contrattare non è facile in due lingue che non si comprendono. Nemmeno chiedere come stai, cosa sta facendo, indicare dove si vuole andare e rispondere a qualche bisogno imminente. È frustante più di ogni altra cosa al mondo: lavorare con i bambini ma non capirli, non poter raccontare una favola al momento della buonanotte. Ma quando si fa silenzio, ci si guarda bene negli occhi, ci si inventa. Il rapporto diventa più intimo, più sincero, un abbraccio vale più di mille parole.
Ma poi, cosa serve parlare la stessa lingua se è sufficiente una canzone africana per comprenderci perfettamente? Il ballo in Africa, lo capiscono proprio tutti, dal nord al sud, chi parla solo malgascio e chi non parla proprio.
Le tue giornate saranno lente se metterai da parte l’ansia genetica europea del fare qualcosa, e anche se ti sembreranno lunghe e inutili, saranno accompagnate sempre da un sottofondo di musica tradizionale che, quando tornerai in Italia, metterai anche quando farai la doccia, da quanto mancherà alle tue orecchie. In molti racconti di persone che sono state in Africa o in Latina America sentirete dire che il tempo passa diversamente in questi paesi, ed è vero. Ti arrabbierai quando ti diranno un orario e non sarà mai rispettato, aspetterai ore per una risposta, vedrai persone in giro non fare assolutamente nulla durante la giornata. Ma se all’inizio tutto ti sembrerà così strano, poi invece, ti siederai a fianco a un signore che guarda passare le macchine e passerai il pomeriggio insieme a lui, in silenzio, ad ascoltare la tua vita.
Il Madagascar è la quarta isola più grande al mondo, ma è solo un’isola. Penserete. Il problema è che è così grande che nemmeno tra il sud, il centro e il nord la lingua è uguale, così come la frutta, i cibi, le strade e il paesaggio. È un paese tanto grande da visitare, che ti sarà difficile conoscere tutti i luoghi e tutte le loro particolarità culturali. Ci sono mille cose che io ancora non ho capito: perché le persone indossano il giubbotto invernale e il cappello di lana con 40 gradi, perché lavano i vestiti e li fanno asciugare stendendoli per terra, perché girano il cellulare per rispondere al telefono, perché lavorano con le ciabatte e vanno a messa con le scarpe, perché non dicono “non ho capito” invece di rispondere sempre di sì. Mi “stranizzo” ogni volta, ma al giorno d’oggi rido, non comprendo, ma mi rendo conto che questo è il loro paese, e li le cose vanno così.
Io lavoro vicino la capitale, a Ivato, in una struttura molto grande che comprende un Centro Professionale con 300 alunni e un orfanotrofio con 70 bambine. Vivere là dentro sembra quasi di non
vivere in Madagascar se non fosse per la terra rossa che ci circonda. Li i ragazzi vanno a scuola, ognuno con il proprio grembiule. Sono giovani ragazzi in piena adolescenza, divisi in gruppi di studenti modello, ragazze belle della scuola, ragazzi sportivi e gangsters. Una tipica scuola superiore. Io sono l’insegnante di potenziamento d’inglese. Non è facile equilibrare la mia giovane età con la loro, i problemi linguistici, la serietà e la confidenza. Ma oggi mi ritrovo a inventare migliaia di modi creativi per insegnare questa lingua e conoscere ognuno di loro.
Tutto il mio tempo, all’esterno della scuola e delle lezioni di italiano, lo passo con le bambine del Foyer. Con le bambine, penserete, è tutto più facile. Beh, sicuramente gli argomenti sono più semplici. I loro sorrisi sono più diretti al cuore. I loro abbracci sono più caldi del sole africano. Ogni sera le bacio a uno a uno e auguro loro la buonanotte, come farebbe un genitore che ti ama. Ma molte volte le osservo da lontano, e penso “come può un genitore rinunciare o abbandonare questa meravigliosa bambina?”.
Passo molte giornate qui in Madagascar ad arrabbiarmi per molte cose, e chiedere risposte che non avrò mai, a cambiare il mio punto di vista per comprendere meglio e nonostante io mi sforzi, questa rabbia oggi mi da la forza di continuare a vivere in questo meraviglioso paese. In questi 5 mesi che ho trascorso qui, sono tornata anche in Italia solo per 10 giorni, e lì, ho avuto la mancanza di questo luogo, di alzarmi la mattina, attraversare il giardino e sentire gridare le bambine “Bonjour Mart”.
È una vita diversa, inimmaginabile. Ma è bella quanto non mai.
Marta, operatrice volontaria di Servizio Civile Universale in Madagascar.