Il mese di settembre è iniziato con la fine delle vacanze, il rientro in comunità e l’organizzazione della scuola e delle attività da svolgere durante l’anno.
La scuola è iniziata il 12 settembre, giorno in cui abbiamo partecipato all’accoglienza degli studenti nel cortile del Saint Louis. Durante l’accoglienza il responsabile della scuola ha presentato tutti i professori, noi comprese.
Io e Beatrice abbiamo il ruolo di insegnanti di inglese e di italiano con otto ore (4 per italiano e 4 per l’inglese) da svolgere in 5 classi da circa 50/60 studenti l’una.
Quasi ogni mattina arriviamo a scuola alle 7,15, prima di entrare nelle classi studenti e insegnanti svolgono la preghiera e ogni lunedì mattina cantano l’inno nazionale, il preside spende qualche parola per dare il buongiorno, dopo di che alle 7,35 iniziano le lezioni, che sono da 50 minuti l’una.
Alle 10, dopo la campanella dell’intervallo il cortile si riempie di giovani, c’è chi gioca a pallavolo (montando e smontano la rete a ogni intervallo per conto loro), chi a calcio, chi a basket, c’è poi chi suona la chitarra e canta e c’è chi fa qualche altro gioco di cui non abbiamo ancora capito il nome.
Non esistono cellulari, come neppure macchinette o baracchini che vendano la merenda, esistono solo chitarre, palloni, gruppi di ragazzi che camminano sotto i portici tenendosi a braccetto e disquisendo, o stando semplicemente insieme a guardare gli altri che giocano.
Le nostre lezioni si tengono esclusivamente durante il mattino, e i primi due giorni della settimana torniamo in comunità per collaborare con il laboratorio di cucito del CFP, anche se più che collaborare si potrebbe dire imparare, poiché ne io né Beatrice abbiamo mai cucito, ma per essere sincera credo che le alunne imparino comunque molto insegnando a noi. Progettiamo gonne o vestiti, facendo ogni sorta di calcoli che ancora fatico a capire.
Quando abbiamo tempo passiamo la ricreazione con i bambini della materna giocando un po’ con loro.
Le giornate sembrano passare sempre più veloci, a volte ho quasi la sensazione che il servizio sia praticamente finito, e la percezione di non aver poi fatto molto mi angoscia.
Quando mi volto indietro e cerco di fare il resoconto del vissuto qui mi sembra tutto spezzettato, con periodi completamente diversi l’uno dall’altro: il primo mese a Ivato, nella capitale, occupati dalle faccende per ottenere il visto e un po’ persi nel frastuono della caotica capitale, poi i primi due mesi a Betafo, con la fine della scuola, lo svuotamento della comunità, e la frustrante inattività derivante dal fatto di non sapere nel concreto come rendersi utili. Poi il Fils don Bosco, con delle giornate piene e super impegnate, ma anche con la sensazione di non aver proposto nulla di innovativo e diverso, poi la vacanza, lunga e articolata e alla completa avventura, e infine il rientro, con alle spalle praticamente metà della permanenza ormai andata e la consapevolezza che a metà dell’anno scolastico si dovrà mollare tutto per rientrare.
Purtroppo il nostro tempismo non è stato dei migliori, e ciò ci concede praticamente la metà del tempo per portare avanti il progetto per cui siamo qui.
La vita comunitaria qualche volta non è facile, ci sono orari da rispettare tassativamente per il pranzo e per la cena, la libertà è ovviamente limitata e qualche volta le uscite serali e lo svago giovanile mancano. Chiaramente sono cose previste e sopportabili, e che potremo apprezzare ancora di più al nostro rientro.
Questa volta deciso di intitolare il diario del mese con una sequenza di verbi: “studia, taglia, incolla… ma rifletti soprattutto”, perché queste sono le attività che accompagnano le mie giornate, tra taglio e cucito, lavoretti manuali, oratorio e lezioni di italiano, e fanno scorrere il tempo tanto veloce, troppo veloce, e le giornate piene si susseguono senza sosta, e a volte manca il tempo per pensare, per cogliere e godersi l’unicità del momento, per guardarsi intorno e rendersi conto che sì cavolo, sto effettivamente imparando a cucire, studiando e insegnando due lingue, conoscendo persone e una cultura assolutamente uniche al mondo, imparando a convivere da atea in mezzo a persone che hanno cultura, lingua e credo differenti, e molte altre cose di cui probabilmente ancora non mi rendo conto. E quindi ogni tanto mi fermo, osservo ciò che mi sta intorno e me stessa, perché voglio ricordarmelo tutto questo al mio rientro e per il resto della mia vita, perché voglio respirarla l’esperienza e non consumarla tra lavoro e ansia di non essere o non aver fatto abbastanza. Voglio considerarla come l’inizio di un percorso, e anche se non si è riusciti a darsi al 100%, ciò non significa che sia un esperienza persa e che non si possa continuare a cercare un modo per aprirsi sempre di più.
Anna, volontaria SCU in Madagascar